TRASFERIRSI A VIVERE E LAVORARE IN GERMANIA Rita e Domenico, due italiani a Norimberga da oltre 40 anni Di Silvia Coco 16/11/2012
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Andare all’estero per qualche settimana, magari per un paio di mesi, approfittando di cari parenti che vivono in quel Paese. Cercare un lavoretto per mantenersi in quel periodo, frequentare ragazzi del posto e, perché no, quegli italiani che ritrovi in qualsiasi parte del mondo con la stessa gioiosa allegria e voglia di divertirsi. Sembra il racconto dell’esperienza ormai comune di un Erasmus o di un’esperienza estiva all’estero. Solo che tutto questo a Rita e Domenico accadeva oltre quarant’anni fa. Due italiani che percorrendo strade diverse e seguendo curiosità e necessità differenti - il desiderio di imparare la lingua lei, il bisogno di un lavoro lui – si imbattono l’uno nell’altra e fanno di Norimberga, in Baviera, la città per sé e per i propri figli. Conservando l’italianità nel sangue, ovviamente!
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Mi chiamo Rita Filippini e sono nata a Catania nel ‘45. Mi sono trasferita nel 1954 a Salerno, dove sono rimasta sino all’età di 23 anni, quando, attratta dalla lingua tedesca che sovente sentivo parlare dai turisti che ogni estate affollavano le coste salernitane, decisi di partire per la Germania, allo scopo di imparare il tedesco. In realtà dentro di me era molto forte il desiderio di rendermi indipendente. Avendo dei parenti in Germania, nonostante i tempi – allora non era usuale che una ragazza partisse da sola e per l’estero per giunta! – alla fine dell’estate del ’68, lasciato il lavoro presso la “Mira Lanza”, in cui proprio in quel periodo mi avevano proposto di diventare la segretaria del direttore - raggiunsi Norimberga, decisa ad imparare e a vivere un’esperienza nuova!

Su consiglio di una mia cugina cominciai immediatamente a frequentare una scuola di tedesco ed a lavorare presso la “Triumph”, azienda che produceva macchine da scrivere; io mi occupavo del controllo qualità. Non ebbi alcun problema ad ambientarmi in quanto, come detto, non ero sola. Nei fine settimana, quando ero libera dagli impegni di studio e lavoro, con mia cugina e con altre amiche uscivamo per divertirci. Frequentando discoteche conobbi un giovane tedesco con il quale cominciò una frequentazione. Nel frattempo io mi trasferii a casa di un’altra mia cugina tramite la quale conobbi altri ragazzi italiani.

Tutto sembrava andare per il meglio quando all’improvviso tutto cambiò. Dopo un po’ di tempo iniziarono le incomprensioni e fui costretta ad andare via di casa, così andai ad abitare in un collegio per studentesse, contemporaneamente la mia relazione con il giovane tedesco finì. Al contrario, continuai a frequentare uno degli italiani conosciuti tramite mia cugina: Domenico Incani, nato a Pettorano sul Gizio, piccolo paesino vicino Sulmona, in provincia dell’Aquila. Domenico, di un anno più piccolo di me, si era trasferito in Germania due anni prima per lavoro. Non riuscendo a trovare un lavoro stabile in Italia, aveva risposto ad un annuncio con il quale la M.A.N. ricercava giovani meccanici a Norimberga.
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Domenico, rispetto al mio ideale di ragazzo, era l’antitesi più completa sia per carattere che per estrazione sociale. L'aspetto fisico, invece era ciò che mi colpiva di lui: i suoi occhi, le labbra ma anche la sua capacità di ascoltare. In
realtà noi due non ci siamo mai fidanzati, ma siamo passati da una fase
di frequentazione stabile, durata circa 2 anni, al matrimonio: mio
padre, per una serie di circostanze che solo il fato sa orchestrare,
aveva saputo della nostra frequentazione e in occasione delle ferie del
‘71 mi chiese di farlo venire a casa e, dopo averlo conosciuto, mi fece
capire che era il caso che io lo sposassi. La cosa mi colse di
sorpresa in quanto io non desideravo sposarmi, ma, non appena lo dissi a
Domenico, che intanto era in un’altra stanza, questi raggiunse mio
padre e gli disse di preparare tutti i documenti necessari…ci saremmo
sposati subito!
Da allora, era l’aprile del 1972 non ci siamo più lasciati. Domenico
ha continuato a lavorare come meccanico collaudatore in una fabbrica di
motori, mentre io smisi di lavorare per dedicarmi alla famiglia che si
stava allargando: abbiamo avuto due figli, Maximilian e Monika. Sia
all’inizio che dopo il matrimonio, il problema maggiore è stato quello
di misurarsi con una mentalità completamente diversa dalla nostra: molto
più razzista, in particolare verso gli Italiani. Noi incontrammo grandi
difficoltà a trovare casa in quanto gli stranieri, in particolare se
con figli, non erano ben visti.
Oggi siamo in pensione entrambi da qualche anno. Non
sapremmo dire cosa avremmo perso restando in Italia, di sicuro la
nostra vita avrebbe avuto un andamento diverso. Troppe sono le
differenze culturali, storiche e geofisiche tra i due Paesi. Di sicuro
dell’Italia ci mancano le famiglie di origine, l’apertura verso il
prossimo e, non meno importante… il buon cibo!

Ma la vita stessa mi ha portato a rimanere in Germania in modo permanente. Alle
volte ci ha attraversato il pensiero di tornare in Italia, la scelta di
andare via per noi, è legata quasi esclusivamente al discorso
lavorativo. Essa è rimasta una buona scelta (fin quando si riusciva a
trovare lavoro facilmente, oggi è difficile anche qui!), ma oggi ciò che
ci blocca è sapere che i nostri figli, anche se oramai sono adulti,
hanno le loro vite in Germania e noi non li lasceremmo mai li da soli
per rientrare. È vero che non abitano più con noi, ma, mentalmente, il
saperci in due nazioni diverse non ci farebbe godere a pieno il nostro
ritorno!
Di Silvia Coco 16/11/2012
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